ACICASTELLO

  • di Eugenio Caccetta

 

Sono dell’idea che quella notturna sia la più affascinante immersione che si possa programmare, e così ve ne racconto una veramente emozionante.

Acicastello è un ridente paesino di poche centinaia d’anime che si allunga su una costa frastagliata lambita da un mare azzurro e limpido; Catania dista solo 8 chilometri.

Il castello che dà il nome al luogo sovrasta da un’altra rocca le multicolori case dei pescatori.

Il porticciolo, da quale partono incessantemente i piccoli pescherecci di una non numerosa ma ben attrezzata flotta, è in continuo fermento; nel tratto di mare che va da Acicastello a Stazzo (solo qualche miglio) si pesca il pesce più gustoso e profumato di tutta la costa siciliana.

E proprio dal molo del porticciolo ci si immerge per iniziare la nostra passeggiata notturna; appena doppiatane la punta ci si lascia cadere su un fondale misto di sabbia e roccia che si trova a soli 5 metri.

Le lampade subacquee sciabolano mentre ci si assesta addosso l’attrezzatura poi tutte insieme ad un segnale vengono spente: e l’oscuro mare, piano piano, con l’adattarsi degli occhi, diventa inverosimilmente “luminoso”; ad ogni movimento delle braccia l’acqua si incendia della fosforescenza del plancton e strofinare una mano nella vegetazione o anche sulla roccia lascia un alone persistente di luce verdina. E’ come essere in camera da letto con le imposte serrate senz’altra luce che diecimila piccolissime lucciole verdeazzurre che palpitano per minime frazioni di tempo, mentre il moto ondoso ne rende incalcolabile la traiettoria e ci si culla in un abbraccio divenuto incredibilmente sensuale.

Seguendo il compagno si crea un’atmosfera irreale: mentre le pinne “bruciano” l’acqua, si entra in un tunnel fosforescente; in questo buio luminoso, rotta 180°, si naviga lasciando alle spalle le ultime rocce dietro le casse del porto e si inizia a “sorvolare” una spianata di sabbia sottilissima intorno a -18; l’incontro con giovani gronchi è frequentissimo: appena abbagliati dalla lampada, dopo un attimo di esitazione, si infossano e scompaiono sotto la sabbia.

Poco più oltre le polpesse dal mantello rosso picchettato di bianco e dai lunghi tentacoli cambiano repentinamente i loro colore e acquistano rapidamente la forma di pietre ricoperte di sabbia ; centinaia di buchi denunciano la presenza di quelle saporitissime “chiocciole” che si comprano al mercato per pochi soldi, ma  che costano l’iradidio appena seduti anche nelle trattorie che sembrano senza pretese.

Dopo dieci minuti ecco di nuovo le rocce; siamo ai piedi della rupe.

Qui giunti, se si spegne la lampada ed è una notte senza luna, si ha la sensazione  soggiogante  del castello che sovrasta  e mille impressioni si affollano: tutto è buio tranne  la fosforescenza del plancton; il ritmo dell’erogatore seppure compostissimo sembra assumere un suono irreale; le colonne di bolle sopra la testa brillano per qualche secondo e poi scompaiono  inghiottite dal nero; per qualche attimo sembra di vivere un sortilegio e si aspetta che accada qualcosa…poi (fortunatamente) qualcuno accende la lampada e allora, con un sorriso tirato tra i denti, si continua a curiosare.

Proprio quaggiù, sul piede sommerso dalla rocca, si incontrano grosse murene dalle ampie fauci irte di denti aguzzi e ritorti (l’animale giusto al posto giusto!);

poco più oltre ecco brillare la livrea argentea dei saraghi, mentre le occhiate dal colore del peltro si addossano alle rocce; più giù, raramente, il dentice solitario.

Spiando negli anfratti si scorgono gli occhi rosso acceso e cattivi delle magnoselle, mentre nelle spaccature della roccia le splendide corvine, con le loro pinne elegantemente orlate di giallo, si muovono infastidite dalla luce delle torce.

In questa condizioni, solo che non si attraversi il raggio della lampada, si riesce a toccare i pesci, ma è una cattiveria che al tocco le povere bestie hanno degli scatti che immancabilmente le portano a sbattere contro le rocce mentre, tra un urto e l’altro, si allontanano come ubriachi doloranti.

E’ tempo di tornare.

Quando si riemerge l’occhio immancabilmente corre al castello buio e incombente.

Ed eccolo lì il fantasma: ci guarda per un attimo e forse ci sorride prima di scomparire.

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