- Foto di Franco Campisi
A poca distanza da Catania, nello specchio d’acqua antistante il pittoresco paesino di AciTrezza, si estende l’arcipelago delle “Isole dei Ciclopi”, oggi area marina protetta istituita con decreto interministeriale il 7 dicembre 1989.
La nascita dell’intero arcipelago, secondo Omero, la si deve al capo dei Ciclopi: Polifemo.
La leggenda narra che l’isola Lachea, la più grande di tutto l’arcipelago, non è altro che la cima di un vulcano scagliata in mare dal “gigante” contro Aci, giovane amante della sua adorata ninfa Galatea.
Anche i faraglioni, attigui alla Lachea, sembrerebbero essere frutto della collera di Polifemo che, accecato da un tronco arroventato, scagliava gli enormi “massi” contro le navi di “Nessuno” in fuga dalla prigionia del ciclope.
Le “Isole dei Ciclopi”, durante i noti conflitti mondiali, sono state teatro di gravissimi fatti di cronaca; infatti, ancora oggi nei fondali di “Trezza” si rilevano tracce di una storia antica che ha segnato la nostra stessa esistenza; grossi bossoli sparsi, miriadi di “cocci” d’anfora e la presenza del “Relitto della Timpa” - oggi meglio identificato in Taikosan Maru - sono la chiara chiave di lettura delle vicissitudini sofferte da “Trezza”.
Il tempo e la straordinaria forza del mare hanno poi provveduto a trasformare questo drammatico scenario in un incantevole sito terrestre e subacqueo, quest’ultimo colonizzato da svariate specie ittiche e forme sessili di ogni genere.
“Tappeti” di ricci, vaste praterie di Posidonie e Saraghi “nigrofasciati” grossi quanto il volante di un’automobile – in barba ai tanto acclamati fondali maldiviani - trasformavano questo teatro di cronaca in stravolgenti “Paradisi Sommersi”.
L’Alicia Mirabilis, ad esempio, la più grande ed intrigante attinia del Mediterraneo, nota per i suoi lunghissimi e fluttuanti tentacoli protesi in cerca di cibo era uno spettacolo da non perdere e che solo l’immersione notturna poteva relalare.
La “Ciacca”, un tortuoso cunicolo subacqueo che oltrepassa da parte a parte l’Isola Lachea era considerato un vero e proprio “scrigno” perché capace di offrire rifugio ad una quantità smisurata di specie viventi.
Non di meno erano le basse profondità, dove fiumi di “donzelle” e cefali argentati d’ogni misura, trasparivano dall’acqua cristallina al punto da poterli osservare anche dalla strada.
Tutto questo accadeva trent’anni or sono quando, ancora bambino, scorazzando per il vecchio molo di Trezza, riuscivo a contare i numerosi pesciolini che frattanto cercavo di catturare con le mani.
Oggi, il tempo e la straordinaria forza del mare sono stati sconfitti dall’uomo che, sordo e prepotente, pensa di avere vinto la “battaglia”.